Rilevati caratteri cerebrali di movimenti finalizzati

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 13 febbraio 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La distinzione fra atti finalizzati e movimenti somatici che non costituiscono segmenti di un piano di azione volto ad uno scopo è paradigmatica nello studio neurologico e neuropsicologico della prestazione motoria comportamentale, ma la differenza nelle basi neurofunzionali fra queste due classi concettuali e fisiologiche della motricità non è stata ancora bene definita.

Si è supposto da tempo che esistano precisi correlati neurofunzionali nella corteccia cerebrale che consentano di distinguere i movimenti diretti a un fine da quelli non guidati da uno scopo comportamentale del soggetto; tuttavia, non è stato possibile finora identificarli.

Naveen Sendhilnathan e colleghi hanno deciso di affrontare questo problema indagando i campi oculari dei lobi frontali della scimmia, equivalenti di quelli umani e implicati nel controllo dei movimenti saccadici degli occhi. Questa miriade di piccoli movimenti impercettibili dei globi oculari necessari perché la luce che attraversa il foro pupillare incida al centro della retina, costituisce un’occasione straordinaria, in quanto possono essere generati sia quale parte di un piano d’azione diretto ad uno scopo, sia indipendentemente. In particolare, si ritiene che il campo oculare frontale (FEF, frontal eye field) sia implicato nel controllo volontario delle saccadi.

Naveen Sendhilnathan e colleghi hanno rilevato che solo durante le saccadi degli atti finalizzati la variabilità della frequenza dei picchi fra le prove diminuiva, si aveva una concomitante riduzione della banda beta LFP e l’attività neurale aumentava più precocemente. Sulla base di questi ed altri elementi, i ricercatori hanno desunto una caratterizzazione differenziale fra saccadi di azioni finalizzate e non finalizzate.

(Sendhilnathan N., et al. Neural correlates of goal-directed and non-goal-directed movements. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 118 (6) e2006372118 Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2006372118, Feb 9, 2021).

La provenienza degli autori è la seguente: Doctoral Program in Neurobiology and Behavior, Columbia University, New York (USA); Vanderbilt Vision Research Center, Department of Psychology, Vanderbilt University, Nashville (USA); Center for Neuroscience, Indian Institute of Science, Bangalore (India); Department of Neuroscience, Columbia University, New York (USA).

È necessario rilevare che non tutti i ricercatori impegnati ad indagare le basi neurobiologiche del movimento condividono la tesi implicita nella ratio dello studio qui recensito: per alcuni la peculiarità di controllo dei movimenti saccadici potrebbe non essere paradigmatica e, dunque, la distinzione fra saccadi finalizzate non finalizzate potrebbe non fornire elementi significativi per la distinzione in termini di attività corticospinale tra una lieve abduzione automatica di un braccio mentre si è intenti in un compito cognitivo e lo stesso movimento quale parte del gesto intenzionale consistente nel protendere l’arto superiore per prendere, ad esempio, un bicchiere colmo di una bibita. La conferma che la via imboccata dal gruppo di Naveen Sendhilnathan sia quella giusta e, quindi, consentirà di distinguere la natura di un segmento di atto motorio finalizzato alla prensione di oggetti o alla locomozione e non solo fra saccadi dirette o non dirette a un fine comportamentale del soggetto, potrà venire solo dalla prosecuzione degli studi.

Senza voler entrare in argomenti che esulerebbero dal fine della recensione di uno studio sui movimenti oculari, si ricorda che il vasto campo di indagine sul controllo dei movimenti, che va dalla regolazione dei riflessi all’organizzazione e pianificazione di attività complesse, si basa su concetti di utilità e definizioni operative. In altre parole, per distinguere e classificare gruppi e tipi movimenti non si impiega una riduzione concettuale matematica per schemi definiti, come si fa nella programmazione del movimento di automi ispirati alle funzioni psiconeuromotorie umane, ma si adottano criteri intuitivi, descrittivi ed empirici, in gran parte seguendo la tradizione della neurofisiologia classica.

Ad esempio, quello che si è rivelato un ottimo criterio di intesa già qualche secolo fa, ossia utile per un’efficace comunicazione fra ricercatori, è la classificazione di una famiglia di movimenti in rapporto alla funzione: movimenti respiratori, movimenti locomotori, movimenti per la prensione, movimenti dell’occhio, movimenti posturali, movimenti per la fonoarticolazione del linguaggio verbale, eccetera.

Un altro criterio efficace è la classificazione in base al tipo di controllo: volontario, riflesso o ritmico. Gli stessi gruppi di muscoli possono essere attivati sotto il controllo della volontà, grazie allo schema neurofisiologico di un riflesso o alla modalità degli automatismi a scansione che regolano le contrazioni ritmiche. L’esempio più efficace per illustrare le tre possibilità di controllo dello stesso insieme fisiologico di strutture miotendinee è quello dei muscoli della respirazione. Usiamo il controllo volontario ogni volta che compiamo atti respiratori con precisa intenzionalità cosciente, come quando effettuiamo esercizi respiratori o prendiamo aria prima di un’immersione subacquea; i muscoli respiratori sono controllati in via riflessa quando uno stimolo sulle mucose respiratorie innesca il riflesso della tosse; normalmente il ciclo automatico di inspirazione ed espirazione che sposta inavvertitamente 500 ml di aria costituisce un esempio paradigmatico di controllo ritmico del movimento[1].

La distinzione netta che si operava nella neurofisiologia del secolo scorso tra sistema motorio volontario piramidale e sistema extra-piramidale automatico e sussidiario per tono e postura non è più sostenibile alla base delle conoscenze attuali e, pertanto, ci si limita a definire movimenti volontari gli atti intenzionali eseguiti sotto il controllo della coscienza.

L’intervento della coscienza nel controllo e nel comando degli atti che compiamo, anche se opzionale, è molto esteso, ma non in tutti i casi il movimento deliberato è equivalente a quello involontario. Ad esempio, i movimenti ritmici possono essere controllati coscientemente, ma molti di tali movimenti differiscono dal movimento volontario propriamente detto, quale quello che compiamo per prendere un oggetto, perché la loro temporizzazione e organizzazione spaziale è ampiamente definita da memorie dei circuiti del midollo spinale e del tronco encefalico.

I riflessi sono risposte stereotipate a stimoli specifici generate da circuiti neuronici semplici del midollo spinale o del tronco encefalico. Sebbene i riflessi siano – nella nostra specie in particolare – altamente adattabili a cambiamenti di scopo comportamentale, principalmente perché esistono tanti diversi circuiti che connettono neuroni sensitivi e motori, in nessun caso possono essere controllati direttamente dalla volontà[2].

Tanto premesso sul movimento in generale, torniamo ai movimenti dei globi oculari.

La visione richiede particolari movimenti degli occhi, senza dei quali si comprometterebbero i processi alla base della percezione del mondo circostante. Piccolissimi spostamenti sono essenziali per il mantenimento del contrasto degli oggetti all’attenzione visiva: senza questi movimenti l’efficacia percettiva rapidamente si indebolisce virando verso un “campo di grigio”, un fenomeno associato alla ridotta scarica dei neuroni dell’area visiva primaria V1 (area 17 della classificazione di Brodmann) nella corteccia calcarina del lobo occipitale. Spostamenti dei globi oculari di entità maggiore o saccadi sono fondamentali per aggiustare la posizione del campo visivo rispetto alla scena e agli elementi in essa contenuti in modo da sfruttare la capacità discriminativa foveale connessa con la massima concentrazione di fotorecettori conici a discapito dei bastoncelli, che abbondano nelle regioni extrafoveali dei quadranti periferici della retina e sono indispensabili per la visione in luce crepuscolare di bassa frequenza e grande lunghezza d’onda[3].

Il movimento saccadico o saccade è lo schema di azione più frequentemente eseguito dai muscoli estrinseci dell’occhio[4] e consiste in uno spostamento coniugato dei globi oculari necessario a far coincidere il punto di fissazione dello sguardo con la zona centrale della fovea retinica dove avviene la visione discriminata mediata dai coni. I movimenti saccadici sono dei piccoli aggiustamenti in numero di 3-4 al secondo, con una latenza di circa 225 millisecondi. Il rapporto fra durata e ampiezza della saccade è convenzionalmente definito main sequence; in generale, la velocità del movimento varia per garantire una durata sostanzialmente costante. Si è calcolato che nel corso del periodo di veglia di una giornata l’occhio esegue circa 150.000 movimenti saccadici. La genesi di ciascuna saccade implica due fasi: 1) definizione temporale, cioè quando deve avvenire, e della direzione in cui si devono muovere gli occhi; 2) calcolo dell’ampiezza del movimento.

La genesi delle saccadi è dovuta a processi che avvengono a tre diversi livelli dell’encefalo: 1) Campi oculari frontali della corteccia cerebrale; 2) collicolo superiore (tubercolo superiore della lamina quadrigemina del mesencefalo); 3) nuclei oculomotori del tronco encefalico.

Nei nuclei del tronco encefalico sono stati descritti e caratterizzati due tipi di neuroni associati ai movimenti saccadici:

a)      cellule delle pause, che sono attive durante gli intervalli di fissazione senza movimento, costituendo il sistema neuronico responsabile del momento (“when” system);

b)      cellule delle raffiche o burst cells che effettuano raffiche di scariche di potenziali d’azione prima e durante la saccade (“where” system).

L’attività specifica di questi neuroni precede sempre l’esecuzione del movimento saccadico, pertanto si assume che abbia un ruolo causale.

Ritorniamo alla sperimentazione condotta per il lavoro di ricerca qui recensito.

Studiando i correlati neurali delle saccadi nel campo oculare frontale (FEF) della scimmia, implicato nel controllo volontario di questi movimenti degli occhi, Naveen Sendhilnathan e colleghi hanno analizzato le caratteristiche elettrofisiologiche dei neuroni corticali attivati.

Nelle scimmie, l’attività FEF associata con le saccadi G (goal-directed saccades) è stata comparata con quella associata alle saccadi nG (non-goal-directed saccades) e sono emerse importanti differenze. Sebbene l’attività neuronica FEF nelle nG cominciasse prima del movimento saccadico, cioè i neuroni corticali registrati scaricavano raffiche di potenziali prima di queste saccadi, sono state rilevate almeno tre differenze significative nel profilo neurofunzionale:

1)      la variabilità della frequenza dei picchi di potenziali d’azione fra le diverse prove si riduceva solo per le saccadi G;

2)      l’energia della banda β del potenziale di campo locale diminuiva durante le saccadi G, ma rimaneva invariata durante le saccadi nG;

3)      il tempo che intercorreva tra la selezione della direzione della saccade e l’esordio della saccade stessa era significativamente più lungo per le saccadi G nel paragone con le nG.

Nel complesso, i risultati emersi dalle osservazioni sperimentali condotte, per il cui dettaglio si rimanda al testo integrale del lavoro originale, hanno rivelato differenze inattese e caratterizzanti nei contrassegni neurali delle saccadi nG rispetto alle G, in un’area della corteccia cerebrale sicuramente rilevante per il controllo volontario selettivo del movimento. Infine, l’insieme dei dati elettrofisiologici rilevati aggiungono elementi di conoscenza per la comprensione del modo in cui le saccadi hanno origine nel cervello.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-13 febbraio 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] I movimenti ritmici a genesi centrale hanno un’antichissima origine filogenetica e sono alla base della locomozione della massima parte delle specie animali; normalmente sono repressi nell’uomo, che può apprendere la rimozione dell’inibizione attraverso esercizi per particolari tipi di danza, che fanno emergere questa regolazione ritmica del corpo che non sarebbe possibile simulare con la volontà.

[2] Kandel, Schwartz, Jessel, Siegelbaum, Hudspeth, Principles of Neural Sciences 5th ed, pp. 743-744 (Wolpert, Pearson & Ghez, The Organization and Planning of Movement), McGraw Hill Medical, New York 2013.

[3] Le immagini visive sono costruite cominciando con l’elaborazione di intensità e contrasto, poi con l’integrazione delle VP (visual primitives) e, infine, con i processi di alto livello che portano al riconoscimento degli oggetti. Ma il sistema visivo non deve solo riconoscere oggetti, ma deve anche consentire l’attribuzione di significato per lo sviluppo di strategie di interazione con l’ambiente e, a tal fine, deve selezionare mediante saccadi parti rilevanti da analizzare in frazioni di secondo e parti irrilevanti da trascurare. Le saccadi accompagnano perciò la comprensione visiva.

[4] I muscoli retto mediale e laterale e parzialmente gli obliqui sono i più importanti per le escursioni orizzontali; retto superiore e inferiore per quelle verticali. I movimenti dei globi oculari avvengono per effetto dell’azione dei motoneuroni di tre paia di nervi cranici: oculomotore comune (III), trocleare (IV) e abducente (VI).